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La ricerca di Tarantula Rubra
DA
UNA TRASMISSIONE RADIOFONICA AL NEOTARANTISMO
Intervista di Pietro Nardiello alla sociologa Anna Nacci, fondatrice
di "Tarantula Rubra".
Che senso ha oggi
parlare di musica popolare e di ricerca della tradizione, in un mondo
che va sempre più verso la globalizzazione annullando la memoria?
Non vi è momento più idoneo perché la ricerca delle
tradizioni venga reclamata e perché viva una fase tanto dinamica.
È questa una reazione "fisiologica", oserei dire "osmotica",
in quanto la globalizzazione opera essenzialmente in direzione dell'omologazione
e del livellamento culturale. Forte si fa sentire il bisogno di riscoperta
delle proprie identità, delle proprie radici culturalmente connotate
nella loro particolarità e nella differenza da milioni di altre
culture, per meglio sottolineare la propria appartenenza, allo scopo di
far fronte allo squallido processo che ci vuole tutti uguali solo nei
bisogni.
Tanti giovani si
sono avvicinati, negli ultimi tempi, al fenomeno del tarantismo e della
musica di "tradizione orale", nonostante non abbiano alcun legame
"di sangue" o di conoscenza di queste tradizioni. Non crede
che questo sia un fenomeno di moda destinato ad esaurirsi?
La musica non è mai stata avulsa dal periodo storico, politico,
economico e sociale, anzi possiamo dire che è linguaggio prodotto
dalle congiunture del momento. Si parla di moda solo nella misura in cui
le case discografiche tentano di fare speculazioni monetarie sulla produzione
dei cd e la loro forzata introduzione sul mercato ( e qui mi riferisco
a ben note etichette italiane che pubblicano di tutto purché il
prodotto abbia parvenza di etnico è costruiscono operazioni commerciali
con l'ambizione di creare "majors" del folk).
Quindi, chiarito questo passaggio squallido, non me la sentirei di parlare
di moda per quanto riguarda l'avvicinamento dei giovani a questa musica.
Dalle mie ricerche effettuate nel 2000/2001 e presentate al convegno romano
"Tarantismo e Neotarantismo- musica, danza, catarsi e transe - Bisogni
di del 2000, bisogni di sempre", non oserei chiamare "moda"
l'esigenza di liberazione dei ritmi oppressivi della metropoli, del lavoro
sempre più pesante e sempre meno presente, dell'estenuante tentativo
dei media di isolarci e di decurtare le nostre relazioni, dell'inesauribile
tentativo di questo mondo altamente tecnologicizzato di relegarci nella
solitudine più triste, rinviandoci così all'alcool, agli
psicofarmaci e allo psicanalista.
Ed ecco perché non oserei parlare di moda se i giovani, soprattutto
quelli che non hanno "legami di sangue" con queste tradizioni,
sentono questo tipo di musica come il richiamo archetipico della possibilità
di liberarsi attraverso ritmi e melodie di transe, di catarsi musicale,
come veniva fatto nel passato in Italia
Il linguaggio è
il primo elemento che bisogna salvaguardare se si vuole parlare di tradizione.
Ma come si può farlo adesso, visto che esso subisce il ciclone
mercato che non conosce regole se non quelle del profitto?
Anche il linguaggio parlato non può essere scisso dalle stesse
variabili che ho citato. Ritengo che la salvaguardia del linguaggio musicale,
primo vero linguaggio dell'uomo espresso attraverso i ritmi del cuore
e dei tamburi, sia oggi fondamentale per la trasmissione dei nostri saperi,
delle culture.
Quale distinzione
fanno gli artisti tra mercato e autentica tradizione?
Come in ogni settore delle attività umane ci sono persone e persone;
alcuni di esse sono artisti, altre no. E tra gli artisti ( che sono sempre
persone viventi in una realtà ben connotata) ci sono persone che
decidono di speculare, di contraffare, di spacciare per tradizione le
loro scimmiottature; mentre altri seriamente perseguono la ricerca, che
possono anche decidere di arricchire con gli apporti di linguaggi musicali
contemporanei. È anche doveroso usare i linguaggi del nostro tempo:
per esempio, in Salento c'è un ricchissimo apporto di linguaggi
musicali - e non solo - provenienti dal Senegal, dall'Albania, dal Marocco,
linguaggi che ormai fanno parte della nostra vita in quanto inseritisi
nei nostri tessuti relazionali e culturali. Alcuni musicisti di etnica
cercano di riprodurre i suoni ed i brani come si potevano eseguire cinquanta,
cento, cinquecento anni fa, ma ovviamente non sarà mai possibile.
Quale gruppo o
artista l'ha favorevolmente impressionata?
Ci sono oggi centinaia e centinaia di gruppi che lavorano nel settore
della musica etnica (sono tanti soprattutto nel Salento, luogo ove prima
la pizzica era connotata negativamente e di cui ci si vergognava). Sono
sorti, risorti. Ovviamente ho stima e riconoscenza per coloro che nel
tempo hanno mostrato una loro coerenza ed una continua professionalità,
oltre che un'ammirazione per i giovani che hanno fatto tanto lavoro di
ricerca e propongono nuovi lavori spesso molto interessanti. Sono così
tanti che potrei dimenticarne qualcuno ed involontariamente far loro torto.
C'è però anche una sovrapproduzione di materiale qualitativamente
scarso.
Non ritiene minimo
lo spazio concesso dai media a questa ricerca?
Questa è una domanda delicata in quanto bisogna tener conto che,
in assoluto, fin quando i mass media non irrompono in certi canali potremo
star pur certi che non innescheranno meccanismi di sciacallaggio di mercato
ed inquinamento dell'apporto artistico. Il movimento del Neotarantismo
è destinato ad allargarsi per motivi "fisiologici" ed
è un movimento trasversale.
IL BRIGANTE
23 settembre 2003
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