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JESCE FORE, da Rebibbia si evade con la musica
La giornata
comincia con i rumori metallici dei dieci cancelli, che si chiudono alle
spalle allingresso del carcere romano di Rebibbia. La scommessa
è grande come una luna piena. Solo qualche metro divide la vita
penitenziaria da quella delle relazioni sociali fuori dal carcere. Solo
pochi metri e i musicisti del progetto Jesce Fore si ritrovano calati
dalla testa ai piedi in un mondo nuovo, sconosciuto per tutti gli artisti
che hanno aderito al laboratorio musicale. Una volta alla settimana per
un anno. Un bel progetto e un buon rapporto con la direzione carceraria.
E poi un cd, un dvd e un agile testo, che racconta questa formidabile
esperienza, capace di tritare i tanti luoghi comuni sulla popolazione
detenuta e di incrociare amicizia e dolore, partecipazione e voglia di
identità. Sì, proprio a partire dalla musica. Voglia di
esserci, di gridare con tutto lossigeno presente nei polmoni: ci
siamo anche noi! Ma non è stato facile.
Anna Nacci, musicista e sociologa pugliese, ma romana di adozione, animatrice
del gruppo di musica popolare Tarantola Rubra Ensemble, non sta nella
pelle per la soddisfazione di aver portato a termine con i suoi collaboratori
il progetto Jesce Fore. Ovviamente, racconta, allinizio i
detenuti ci hanno mostrato tutte le loro resistenze e diffidenze: è
normale che un essere umano cerchi di proteggersi. E qui il pericolo consisteva
nellesporsi emotivamente. Poi la tensione scende. Ci si guarda
negli occhi e allora capisci che dentro hanno bisogno di comunicare,
di parlare tanto, di raccontare le proprie storie, di liberare energie
fisiche ed intellettuali. Qualcuno si guarda intorno. Servirà partecipare?
Allora interviene il gruppo, la sua forza protettiva e non ti senti più
solo. Dieci detenuti nel settore G8 del carcere di Rebibbia decidono di
starci. Decidono soprattutto di mettersi in gioco, di misurarsi con qualcosa
che viene da fuori. Lo fanno usufruendo delle ore di libertà
dalla loro cella, magari rinunciando alla passeggiata in cortile, alla
palestra, e a qualche lezione scolastica. Non è facile, e la paura
di essere giudicati come avviene con gli educatori, con la polizia
penitenziaria e con le altre figure delluniverso carcerario
è sempre dietro langolo. La paura di essere valutati e di
stare sotto la grande lente di ingrandimento, che ti segue come unombra
dietro le sbarre della segregazione.
Il lavoro collettivo è cominciato con in colloqui su fatti e avvenimenti
personali, disussioni collettive sulla condizione di detenuti. Le sensazioni
si accavallano. Le storie si incrociano. La rabbia, linsofferenza,
la tristezza prendono forma sui visi dei partecipanti al laboratorio musicale.
È stato difficile, ma indispensabile partire proprio dalla sofferenza
di ciascuno per giungere allincontro con le emozioni. Ora ciascuno,
grazie al laboratorio musicale, intende guardarsi dentro e mettersi in
gioco allinterno del gruppo. Il gruppo è una microstruttura
sociale molto importante assicura Nacci è una realtà
utile a far sì che ognuno dei componenti guardi allaltro
come in uno specchio, per meglio confrontarsi e avviare processi di crescita
e trasformazione. Inoltre il gruppo gode di un potere naturale, quello
di sostenere ogni componente nei momenti di difficoltà, tanto nelle
emozioni, quanto nelle esecuzioni musicali. Il gruppo protegge e
rassicura. Ci si sente più forti, pronti ad esporsi e a difendere
addirittura il laboratorio musicale, semmai a rischio di vedersi negare
un permesso premio o prendere una relazione punitiva, tutti argomenti
significativi per un detenuto. Si comincia a fare musica. Si canta e si
suona. Spuntano i tamburelli, la lira greca e tanti altri strumenti messi
a disposizione gratuitamente dai musicisti. Si crea una catena di sostegno
al progetto e il settore G8 del carcere di Rebibbia diventa una enorme
cassa amplificata, che diffonde laria contagiosa della musica popolare,
dalle pulsioni ossessive e liberatorie della pizzica-pizzica ai ritmi
incrociati della tarantella. Linvito al canto è irresistibile.
Qualcuno lo raccoglie, facile preda delle percussioni e dei suoi ritmi
ancestrali. Il carcere di Rebibbia dispone nel settore G8 di una sala
musica discretamente insonorizzata, ma carente dal punto di vista delle
strumentazioni. Sono gli stessi musicisti a provvedere con prestiti e
donazioni ad integrare tutto quello che manca. Con questo laboratorio
abbiamo dimostrato precisa Anna Nacci che il lavoro fondamentale
per una concreta riabilitazione, per una trasformazione, sta nel saper
ascoltare, nel saper prestare attenzione. Sono queste le richieste
che implicitamente i musicisti registrano durante i loro incontri coi
detenuti. Lesigenza di raccontarsi si esprime con la musica. Ascoltare
e tradurre in suoni, ritmi, parole e melodie è il compito del laboratorio
Jesce Fore. Soprattutto sulle onde dei suoni e le percussioni delle tammorre
napoletane, i tipici tamburelli utilizzati nelle tammurriate campane e
nella pizzica salentina, balli popolari per antonomasia, che hanno coinvolto
i partecipanti al laboratorio in un vortice senza fine. Cresce lautostima.
Soprattutto quando si incide il cd insieme a musicisti come Teresa De
Sio, Rodolfo Maltese del Banco del Mutuo Soccorso, i Sud Sound System,
Luigi Cinque e Rocco Capri Chiumarulo. E poi gli ospiti, da Marcello Colasurdo,
a Gabin Dabirè, ad Antonello Ricci e la sua magica Riturnella.
Ma il carcere è un mondo contraddittorio e la notizia dellennesimo
suicidio fa scendere la speranza di farcela. Come quello dello scorso
29 maggio nel braccio G9 di Rebibbia. E non vi è maggiore testimonianza
del riconoscimento del fallimento del sistema carcerario, più forte
e spietata, di una morte in carcere. Una sconfitta per tutti, tra lunghissime
attese di giudizio, solitudine, depressione, disagio psichico, malattia.
Ma nonostante tutto si guarda avanti e il laboratorio Jesce Fore si delinea
come un apripista per far entrare la società che sta fuori
nelle relazioni di chi sta dentro. Sarà possibile esportare
lesperienza del laboratorio musicale in altre strutture carcerarie?
In tanti se lo augurano. Intanto ci siamo esibiti lo scorso 29 giugno
a ROMA conclude Nacci alla prima edizione della Notte Bianca
della Solidarietà con Tarantola Rubra Ensemble e i detenuti che
hanno aderito al progetto, fieri di poter dimostrare che un essere umano,
sebbene recluso, ha il diritto di essere ascoltato e in quella serata
lo abbiamo fatto col grande e magico potere della musica. Ora andiamo
avanti: il 19 luglio iniziamo un tour in sei carceri pugliesi per presentare
il progetto. La speranza è che si possa realizzare un laboratorio
anche in Puglia.
Domenica, 8 luglio,
2007
GIULIO DI LUZIO
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